Gianfranco Ravasi

IL BELLO DELLA BIBBIA

Tratto da Famiglia Cristiana
 

Lo sposo tradito

Non di rado Gesù ricorre all'immagine nuziale per parlare del Regno di Dio. Egli non fa che continuare una linea simbolica e spirituale che era partita già nell'Antico Testamento: di essa abbiamo già offerto un esempio molto "colorato" e forte leggendo la scorsa settimana una pagina del profeta Ezechiele (capitolo 16). 
Ora vorremmo risalire alla sorgente, cercando di identificare il primo autore ispirato che in modo sistematico ha usato una storia d'amore per descrivere la relazione tra Dio e l'umanità. 
Si tratta di Osea, vissuto otto secoli prima di Cristo nel regno ebraico settentrionale di Samaria.
Egli nei primi tre capitoli del suo libro profetico assume la sua infelice esperienza matrimoniale e familiare a simbolo per delineare il volto di Dio come sposo innamorato e tradito. La sua avventura spirituale e umana era iniziata con l'amore appassionato per una donna, Gomer bat-Diblaim, una ex prostituta o forse una sacerdotessa dei culti pagani di matrice sessuale praticati dai Cananei, gli abitanti indigeni della Terra Santa (queste sacerdotesse erano spregiativamente definite "prostitute" dalla Bibbia).
Questa vicenda autobiografica è descritta fino al suo apice, allorché dal matrimonio nascono tre figli che portano altrettanti nomi emblematici negativi: il primogenito si chiama lzreel, che era il nome di una città ebraica ove si era consumata una strage; la seconda figlia porta il nome paradossale di "Non amata" e l'ultimo bambino è "Non-mio-popolo". È chiaro che questi tre nomi sono come un compendio simbolico del valore teologico superiore che Osea attribuisce alla sua storia personale.
In queste tre creature si concentra idealmente il peccato di Israele che ha versato sangue innocente (Izreel) e che è stato respinto dal Signore che non vuole più averlo come suo popolo amato. 
Spesso nei manoscritti biblici medievali il profeta è raffigurato con Gomer accanto o abbracciata a lui con tre bambini, cioè Izreel, Non-amata e Non-mio-popolo. la sintesi di una storia che ha, però, uno sviluppo. 
La moglie, infatti, abbandona la casa e ritorna alla sua antica professione, lasciando Osea - che è sempre innamorato - nella più scura desolazione.
Il capitolo 2 è una pagina stupenda che rappresenta innanzitutto lo sdegno del profeta, il suo desiderio di divorziare da lei, perché in Israele il divorzio era ammesso (vedi Deuteronomio 24): «Essa non è più mia moglie e io non sarò più suo marito». Osea minaccia di denunciarla per adulterio, castigandola con l'atto simbolico della denudazione: una volta spogliata dell'abito della sua dignità di sposa, Gomer sarà un'estranea. Ma il profeta non riesce a non soffire per l'abbandono e si lascia ferire dalle parole che la donna gli aveva gettato in faccia, quando aveva esaltato i regali degli amanti.
Egli non sa dimenticarla né può detestarla in modo definitivo. 
È così che il sogno di poterla riabbracciare occupa tutta la seconda parte del capitolo 2 a cui accennavamo. 
E a questo sogno noi dedicheremo la prossima puntata della nostra rubrica.